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La Nave dei Folli

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Lunedì 16:00 trending_flat 17:00

L’artista, il militante e il postumano

“L’affare Sloterdijk” ha avuto il merito di ricordare che il legame tra l’idea del postumano e la filosofia postmoderna non si riduce a un prefisso e come abbiamo visto i tratti di questa figura filosofica sono stati tracciati dallo stesso Lyotard, per quanto la sua posizione sia sempre stata ambigua. (“Sulla possibilità di pensare senza corpo”, L’inumano. Divagazioni sul tempo) Ciò che dovrebbe sorprendere in questa filiazione è che un pensiero che si richiama al relativismo e al nomadismo identitario sia tutt’uno con il progetto di controllo e rimodellamento biotecnologico dell’essere umano. Nato sulla scia del paradigma cibernetico, il pensiero postmoderno non poteva invece che portare a «questa uscita di nascosto dalla specie umana». (Louise Vandelac, “Menace sur l’espèce humaine… ou démocratiser le génie génétique”, in Futuribles, 2001) Per quanto debole possa apparire, in effetti il soggetto postumano si presenta come il creatore di un’identità multipla modificabile all’infinito. Nella sua lotta contro l’unicità del corpo, l’ingegneria genetica prosegue in tal senso questa logica di creazione identitaria. Su questo punto è illuminante l’analisi di Jeremy Rifkin, che già alla fine degli anni Novanta notava in Il secolo biotech come le tecniche di ricombinazione del DNA fossero gli strumenti dell’“artista” postmoderno.

Lo dimostra nei fatti l’arte transgenica, ultimo avatar della scena artistica contemporanea. Indice di questa perfetta corrispondenza tra cultura postmoderna e logica tecnoscientifica è l’ormai celebre coniglio verde fosforescente dell’artista Eduardo Kac creato con l’aiuto di un’equipe dell’Istituto nazionale di ricerca agronomica (INRA) francese. GFP Bunny, conosciuto anche come Alba, è stato presentato ad Avignone nel 2000: se esposto ai raggi UV, irradia una peculiare fluorescenza verde dovuta a una proteina ricavata da una medusa, che è stata immessa nel DNA dell’embrione del mammifero. Anni dopo ha creato Edunia, inserendo il proprio DNA in una petunia, al fine di creare una pianta ibrida, metà fiore e metà uomo, e nel 2011 è stato celebrato con una mostra personale presso il PAV (Parco di Arte Vivente) di Torino. Kac, cosiddetto artista interdisciplinare interessato ai mezzi di comunicazione, ha lavorato anche con frattali, impianti RFID, realtà virtuale, robot, ologrammi, satelliti e astronauti, sintetizzando nella propria opera la fascinazione postumana per le tecnologie. Dalla merda d’artista all’artista di merda, si potrebbe dire, sebbene le feci animali contengano sostanze nutritive e fertilizzanti di cui sono privi i cadaveri viventi cibernetici.

Nell’era dell’abbattimento delle frontiere, l’artista e l’ingegnere si fondono per realizzare il grande progetto di rimodellamento del vivente. Mai ci si sarebbe potuti avvicinare di più all’ideale nietzschiano di fare della vita un’opera d’arte. A chi osa ancora criticare i vantaggi di un’operazione simile, soprattutto quando riguarda il corpo umano, i suoi ideatori s’affrettano a rispondere che il progresso è ineluttabile. Al ritmo con cui avanzano le cose, non sorprenderebbe vedere a breve gli ingegneri del vivente appellarsi alla libertà d’espressione per legittimare il loro agire. Potranno allora contare sull’appoggio dei militanti del cyborg e della moltitudine.


La società cibernetica globalizzata che procede verso l’inevitabile naufragio

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