
Portami Via Festival 2 - Paolo Berizzi Paolo Berizzi
Canelli Piazza Cavour, palco “Lucca” (nome di battaglia del Partigiano Michele Pavia).
Dibattito intervista con il giornalista e saggista Paolo Berizzi a cura di Luca Stroppiana e Luca Carillo.
Eccoci qua, benvenuti al Portami Via Festival 2025. Fa un po’ strano in una location nuova dire “Portami Via Festival”… e durante tutti questi anni al Portami Via Festival abbiamo toccato vari temi, dalla tutela dell’ambiente al senso di patria, alla migrazione, al radicarsi e quest’anno tramite il tema “L’eterno partigiano” volevamo affrontare un fenomeno che da un lato credevamo storicamente morto dall’altro invece continua a farsi strada ed è terribilmente vivo. E quindi, come diceva Massimo, grazie anche a lui abbiamo organizzato questo incontro e siamo onoratissimi di avere con noi Paolo Berizzi. Per chi non lo conoscesse, abbiamo preparato una brevissima introduzione che adesso Luca vi leggerà.
Allora, brevissimamente: Paolo Berizzi, classe 1972, laureato in filosofia e giornalista di professione. Dall’anno 2000 scrive per la Repubblica occupandosi di vari temi di caporalato, terrorismo islamico, criminalità organizzata, narcotraffico e con una rubrica giornaliera che denuncia episodi di odio e anti-tolleranza. Nel frattempo si è occupato anche di indagare sui movimenti neofascisti e in qualche modo si può dire che ha avuto un certo successo e, a causa anche di questo, dal 2019, come è stato detto, vive sotto scorta a causa delle minacce che ha ricevuto. Ha scritto diversi libri, tra i quali ricordiamo “NazItalia, viaggio in un paese che si è riscoperto fascista”, edito nel 2018, “L’educazione di un fascista”, edito nel 2020, “È gradita la camicia nera. Verona, la città laboratorio dell’estrema destra tra Italia e Europa”, edito nel 2021. Ed infine l’anno scorso ha pubblicato “Il ritorno della bestia, come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia”.
In questo testo analizza lo sdoganamento della bestia del fascismo nel nostro paese. Per darvi un pochino l’idea del sentimento di questo libro introdurremo e ci immergeremo nella serata leggendovi le prime righe del libro, che secondo me danno un’idea ottima della situazione: “Tu vedi i fascisti ovunque, ma dove li vedi tutti sti fascisti?” “Nelle piazze, nelle curve degli stadi, ai raduni nazi rock”. Dieci anni fa ancora mi dicevano “tu vedi i fascisti ovunque ma dove li vedi questi fascisti? Nelle piazze, nelle curve, ai raduni musicali e sul web, tanti sul web”. Ma tu dove vedi tutti questi fascisti? Al governo.
Ecco vorrei partire, prima di immergerci bene nel libro, le prime tre parole “vent’anni fa”, quindi un po’ capire quand’è che hai iniziato a dedicarti a queste inchieste, del perché hai deciso di approcciarti a queste inchieste sull’estremismo di destra.
Buonasera a tutte e a tutti, grazie per l’invito. Se sono qui questa sera la colpa è di Massimo Zamboni, prendetevela con lui. Con Massimo ci siamo conosciuti l’anno scorso a Monte Sabbiuno, sulle colline di Bologna, sui monti bolognesi, in un luogo della memoria, dove abbiamo fatto un’iniziativa insieme per ricordare i 100 partigiani e prigionieri politici trucidati dai fascisti e dai nazisti in quel luogo e fatti rotolare giù dal monte. Con Massimo è stata una di quelle conoscenze… non starò a tediarvi su Zamboni perché poi ne parlerete per tre giorni di Zamboni, lo ascolterete stasera e quindi non voglio farvelo uscire dagli occhi. Massimo è un amico ed è una persona con cui da subito… sai, ci sono quelle conoscenze nelle quali da subito ti riconosci perché senti un sentire comune, scusate il gioco di parole, una sensibilità comune, non convenzionale, non frequente, anche un po’ per il modo di affrontare le cose, no? Di vedere le cose che ti succedono intorno e che vuole provare ad essere un modo non manieristico, non spettacolare, non clamoroso, ma se possibile un modo serio, cercando di capire le cose andandoci dentro, studiandole e solo e, semmai dopo, provando a raccontarle a qualcuno. Questa sera ci siete voi.
Mi onora parlare in questo luogo di cui mi è stato raccontato, mi è stata raccontata la storia. Sono felice che il teatro in questa città si è intitolato al Partigiano Balbo e non a Italo Balbo, il maresciallo dell’aria. Quello lo commemorano loro, lo hanno fatto l’altro giorno parlamentari e deputate di Fratelli d’Italia, uno dei quadrumviri della marcia su Roma. No, il teatro di Canelli è intitolato al Partigiano Balbo e mi fa felice sapere che, nonostante in questa città abbia trionfato, abbia vinto il centrosinistra, non abbiamo visto come qualcuno, con una fantasia geografica e devo dire invidiabile e spiccata, paventava barconi a risalire il Belbo per portare immigrati in questo comune. Vedete che non è accaduto? Quindi a volte le nostre paure si accompagnano alle nostre fantasie, anche le più perverse.
Bene, fatto questo preambolo, ringraziato ovviamente Flavio dell’ANPI, ringraziati Luca e Luca, abbiamo deciso di fare Luca e Paolo e Luca, provando una nuova triangolazione inedita. Speriamo che i risultati siano dignitosi. Io cercherò, cercheremo, di tediarvi il più possibile in modo tale che l’impatto poi del concerto sia il più efficace. Rispondo alla tua domanda.
Guarda, è abbastanza semplice. Io ho iniziato più di vent’anni fa in realtà ad occuparmi di neofascismo. Ho iniziato negli anni dell’università, più o meno. So che questa risposta deluderà qualcuno o sarà molto poco suggestiva, ma ho iniziato in modo assolutamente casuale. Cioè non ci sono arrivato lì per la politica, per le mie idee, che come tutti ho, evidentemente… qualcuna traspare anche dai miei lavori. Ci sono arrivato, a posare la lente sull’estrema destra sui gruppi neofascisti sui gruppi neonazisti, perché seguivo gli ultrà del calcio. Cioè mi occupavo di curve violente, ho iniziato a occuparmene quando ancora studiavo l’università, perché mi interessava capire perché ci sono persone, c’erano e ci sono persone che vanno allo stadio per picchiare o per fare il saluto Romano o per esibire delle croci celtiche o delle svastiche, per fare apologie di fascismo, per insultare i tifosi avversari, per prendersela coi giocatori che hanno la pelle nera, per esaltare le figure che hanno segnato le pagine più cupe della nostra storia: Hitler, Mussolini. All’epoca dedicavano cori e ricordo di ultrà dell’Hellas Verona, a Pietro Maso che uccise i genitori a colpi di padella per prendersi l’eredità, inneggiavano a Ludwig che chi come me ha dei capelli grigi ricorderà perfettamente chi sono stati e cosa hanno fatto i due di Ludwig, i due neonazisti di Ludwig.
E quindi inizio a occuparmi di ultrà e di curve, e inizio a studiarle… e capisco che la maggior parte delle curve, già allora, siamo a fine anni 90, io mi sono laureato nel 1998 in filosofia – non lo dico ovviamente per darmi dei toni che non merito e che non ho ma per dire che mi sono laureato, sono riuscito, credo di essere uno dei pochi giornalisti, forse anche italiani, che si laureano in filosofia con una tesi sugli ultrà del calcio, cioè su quelli che vanno a far casino la domenica negli stadi. Perché? Perché la tesi era in psicologia sociale e indagava la testolina di quelli che vanno a picchiare o a fare appunto i fascistelli in curva. E quindi in questa tesi scrivo e cerco di indagare quella galassia e capisco già allora che le curve erano… iniziavano ad essere dei feudi per l’estrema destra e in quelle curve si creavano dei laboratori e anche dei serbatoi dove i gruppi neofascisti Forza Nuova, Casapound, i 12 raggi, lealtà azione, gli hammerskin e l’elenco è lunghissimo, pescavano manodopera che diventava militanza, cioè gli ultrà diventavano militanti politici e poi tornavano a far gli ultrà la domenica, che è uno schema che poi rivedrai 20/25, trent’anni dopo, anche nella stagione infausta del Covid, dove nella cabina di regia di quelli che manifestavano in modo violento lanciando bombe, ribaltando cassonetti contro le misure anti Covid fino all’assalto squadrista alla sede nazionale della Cgil a Roma per cui i vertici di Forza Nuova sono stati condannati a 8 anni e più. Ma nonostante questo sono ancora a spasso e poi ne parleremo. C’è stato un processo, ci sono state le sentenze, ma sono ancora in giro, al pascolo, impuniti e liberi di continuare a fare quello che fanno.
Allora, e chiudo, mi accorgo che le curve sono dei vasi comunicanti coi gruppi neofascisti. Cioè è lì che vanno a pescare ed è lì che si fa propaganda, perché la curva è un teatro formidabile, è un palcoscenico. La curva è anche un vaso che si riempie e che non si svuota mai. Cioè io, capoccia neofascista, so che so che vado lì e trovo dei ragazzi che vanno a farmi attacchinaggio, che fanno i cortei contro gli immigrati, che vanno alla memoria delle foibe, che fanno le ronde, le hanno fatte a Bologna l’altra sera. Voi pensate, i patrioti neofascisti fanno le ronde nella stazione insanguinata dalla bomba neofascista del 2 agosto 1980.
Allora parto da lì. Ecco perché è stato assolutamente casuale. Non è che ci sono arrivato perché dice, sai, era un militante dei giovani comunisti. Ci arrivo da cronista e da cronista continuo a portare avanti quel lavoro, che è un lavoro di scavo che a un certo punto, ovviamente, purtroppo ha anche un po’ cambiato la mia vita, oltre che il mio lavoro. Quindi l’approccio è stato impensabile anche per me, perché dice questa cosa che ormai mi è entrata sotto pelle parte come una miccia universitaria, come un elemento di conoscenza tra i tanti, su cui si posa la mia attenzione e da lì capisco che evidentemente il problema c’era, non riguardava solo gli stadi, era un problema che stava tornando anche nelle piazze, sia quelle fisiche sia quelle virtuali: il web. E da lì, in qualche modo capisco che è un tema caldo, cioè un tema attuale.
E alla faccia di quelli che mi dicevano: “Dove vedi tutti questi fascisti? Come te li inventi?” Mi dicevano che me li inventavo… e me lo dicevano vent’anni fa, me lo dicevano dieci anni fa, me lo dicevano cinque anni fa. Rispondevo nel modo che Luca vi ha detto oggi, la risposta è molto più facile perché non dico più che li vedo ai concerti, nelle piazze, negli stadi dove ahimè non posso più andare per motivi che potrete facilmente immaginare da quando vivo sotto scorta, cioè da sette anni, da quando il mio volto è pubblico non posso più fare il 99% delle cose che facevo prima per lavoro, cioè infiltrarmi nelle curve, ai cortei, ai concerti nazi-rock, alle commemorazioni, ai rituali neofascisti e neonazisti per farne poi inchieste come ho sempre fatto. Non lo posso più fare, ho dovuto rimodulare il mio lavoro, ma in qualche modo quella roba mi è entrata sottopelle e oggi la risposta a questa domanda è facilissima, perché i fascisti dove li vedi? Li vedo al governo del paese.
Colgo la palla al balzo per, in qualche modo, riproporre anche la domanda di Massimo Zamboni: tu quindi hai detto che vedevi questi ultrà e questi gruppi neofascisti che hai, penso fin da subito, capito che potessero essere violenti. Ti chiedo quand’è che hai capito che potessero essere violenti per la tua vita privata anche, se l’hai capito prima che ti abbiano assegnato la scorta e quando. A qualcuno viene in mente la scorta, facilmente gli viene in mente Saviano. Io ricordo di aver letto proprio su Repubblica che Saviano dice che è una non vita, è molto duro sulla vita con la scorta e volevo sapere se, collegandomi anche alla domanda di massimo Zamboni, del perché intanto in questo paese una persona come te debba vivere sotto scorta e com’è, hai detto che è cambiata la tua vita lavorativa, immagino che sia cambiata anche molto la tua vita quotidiana. Poi colgo anche la palla al balzo: tu hai detto sono tanti sul web questi fascisti. Io, nel mentre che ci rimbalzavamo un po’ la condivisione delle storie per il Portami Via Festival, ho fatto dei giri sui tuoi social e sei tartassato continuamente di commenti negativi e parecchi neofascisti. Come te lo vivi questo assillo quotidiano? Ci dai peso o cerchi di fregartene?
Ma allora la parola “me ne frego” non mi fa impazzire come potrete immaginare. E dire quando sento qualcuno che dice “ma no mi sono abituato ormai non mi fa più né caldo né freddo”, balle, non è vero, non credeteci. Non ci si abitua mai né agli insulti, alle minacce, agli atti intimidatori, né alla vita sotto scorta. Cioè, quando voi sentite qualcuno, ma in realtà non lo sentite, perché penso a Nicola Gratteri, che è lo scortato di più lungo corso in Italia, credo viva sotto scorta da 32 anni o roba del genere. Nemmeno lui si è ancora abituato a vivere sotto scorta. Perché di fatto non ti ci abitui mai, ma alla scorta ci arrivo tra poco.
Parto dalla fine, cioè da questo diluvio. Io ho un amico magistrato che mi dice: “i tuoi social, per chi se qualcuno di voi ha l’occasione di incrociarli, di seguirli…” Io non sono un animale da social, non sono uno che ha fatto dei social il proprio manifesto. Non sono uno che vive per apparire, non ho mai usato nemmeno la mia condizione, cerco di non farlo. Insomma, spero di riuscirci… per accendere dei riflettori su di me e sul mio lavoro. La condizione di scortato è semplicemente una grossa sfiga, per dirla in inglese, è un dramma, è un dramma per chi è scortato ed è un dramma per chi scorta. È una condizione di vita sospesa sostanzialmente, cioè tu hai qualcuno che ti mette sotto protezione perché ritiene che la tua vita, la tua incolumità, sia a rischio. Ci sono degli uffici preposti che fanno questo lavoro dalla mattina alla sera che, sulla base di protocolli e criteri molto rigidi, molto rigidi e poi vi spiegherò anche il perché e come ho avuto modo di provarlo sulla mia pelle, quanto siano rigidi i criteri con cui vengono assegnate o revocate le scorte, se un cittadino, a prescindere dal lavoro che faccia, nel mio caso giornalista, esposto in prima linea su questi temi, con un triste primato di cui poi magari facciamo cenno, che in qualche modo mi distingue da tutti gli altri 23 colleghi italiani, che sono sostanzialmente quasi tutti sotto scorta per mafia, per minacce ricevute da associazioni criminali. Il mio è un caso un po’ particolare perché sono sotto scorta per minacce neofasciste e neonaziste, cioè per estremismo politico. E questo non accade negli anni ’70, dove in qualche modo avrebbe anche ragione di succedere. Accade nel 2025, nel 2024, nel 2019, quando sono stato sottoposto al dispositivo di protezione.
Il diluvio social, dicevo. Un mio amico magistrato dice: “se uno scorre i tuoi social si accorge che sono delle notizie di reato ininterrotte”. E in effetti se io vi dicessi che la mattina non apro i social e non e non leggo nulla, vi direi una balla. In realtà lo faccio. Viene naturale, perché si crea una sorta di assuefazione anche all’odio, cioè lo stesso odio che io denuncio ogni giorno con la mia rubrica “Pietre” su Repubblica. È un odio che in qualche modo ti avvolge e tu diventi in qualche modo schiavo dell’odio. Non perché lo pratichi, evidentemente, ma perché in qualche modo tu sai che ogni mattina, ogni giorno, solo ed esclusivamente per quello che scrivi, cioè per il tuo lavoro, per quello che produci, per i contenuti, chiamiamoli intellettuali, perché lavoriamo con la testa più che con le braccia, certamente con le mani per scrivere, ma è un lavoro intellettuale quello del giornalista, no? Sai che per i contenuti che tu produci vieni attaccato, vieni attaccato tu, vieni minacciato, vieni minacciato di morte, vengono attaccate a volte le persone che stanno vicino a te, i tuoi familiari.
Le minacce di morte le denuncio, evidentemente. Finora tutti i processi che sono stati istruiti si sono conclusi con la condanna degli imputati o dell’imputato. Tutti i processi che mi vedono ovviamente parte offesa si sono conclusi tutti con le condanne. Sono tutti imputati ascrivibili alla galassia neofascista e neonazista o comunque a questo lago nero che raccoglie ultrà del calcio, picchiatori seriali, pregiudicati, militanti di gruppi neofascisti e neonazisti. Sono tutti imputati d’area facilmente riconoscibili, facilmente tracciabili, non sono quelli della porta accanto, anche se ogni tanto scappa qualcuno che si fa prendere un po’ la mano e poi mi scrive “scusami non stavo bene, avevo mio padre malato, non avevo le scarpe, ero disperato, avevo il mal di testa non trovavo il moment. Mi scrivono lettere di scuse dove mi offrono soldi, mi offrono soldi per ritirare la denuncia, cosa che io non faccio mai, non voglio soldi, non li voglio dei processi. Quando arrivano risarcimenti per spese legali o la parte offesa li destino a associazioni che accolgono, che includono, che sono solidali con quelli che questi gruppi vorrebbero vedere sdraiati a terra o investiti da un’auto o peggio dalle loro armi, perché sono in molti casi gruppi armati.
Allora non ti abitui, non ti abitui mai a questo odio. Quando hanno iniziato? Quando ho iniziato a sentire che questo odio mi stava toccando e mi stava sbattendo addosso? Era il 2013 in un palazzetto nel più, diciamo nel più importante palazzetto di Milano, cioè il Forum di Assago, dove magari qualcuno di voi ha avuto occasione di andare per un concerto, per una partita di basket, per un evento sportivo. C’era una partita appunto di basket tra la squadra di Milano, l’Olimpia, l’Olimpia di Milano contro la squadra di basket di Varese. Tra i tifosi, gli ultrà del basket, quindi manco del calcio, del basket di Varese c’era un gruppo che si chiamava Arditi, nomen omen, di cui facevano parte dei sinceri democratici dal braccio teso, dal cranio rasato, con le svastiche e le celtiche tatuate sulle braccia. Questi arditi pescavano i loro militanti ultrà anche in un gruppo dichiaratamente neonazista che è tuttora attivo a Varese. Questi sono fan di Hitler e ogni anno dal 2012, quando nascono, festeggiano il compleanno di Adolf Hitler, fanno propaganda neonazista inneggiando all’Olocausto, ai campi di concentramento, alle SS naziste, scrivono “Varese fascista” sugli striscioni. Me ne hanno dedicati a decine di striscioni, mi hanno eletto al loro nemico mediatico dicendo che erano pronti e sono pronti a imbracciare le armi contro di me e contro la magistratura che sono i loro due nemici, uno dei tanti gruppi che mi dedica quotidianamente attenzioni per il mio lavoro di denuncia.
Sugli spalti del Forum di Assago compare uno striscione con il mio nome e la scritta “infame”. Ed è di fatto la prima prova plastica di queste attenzioni che i neofascisti e i neonazisti mi dedicano. Cioè in un palazzetto dello sport un mio collega mi manda uno screenshot sul telefonino dicendo “Guarda, hanno appena esposto questa roba qua”. Io avevo fatto, non a caso, due giorni prima un pezzo in cui raccontavo di un neonazista albanese di origini albanesi, trapiantato a Varese, che faceva parte di questo gruppo di ultrà e neonazisti. Mi hanno ricambiato l’attenzione scrivendo “Berizzi, giornalista infame”. È stata la prima volta, era il 2013.
Da lì in poi le minacce, gli atti intimidatori, le attenzioni, gli striscioni nelle città, i poster, i manifesti appesi fuori dalle sale pubbliche dove presentavo i miei lavori, in decine di città si sono ripetute in modo quasi seriale. La maggior parte di questi atti venivano fatti da Forza Nuova che li siglava, li rivendicava, ma non solo, anche altri gruppi, i DORA appunto di Varese, questi neonazisti si chiamano Comunità Militante dei Dodici Raggi, Casapound, Realtà Azione, il Veneto Fronte Skinhead. Insomma, non mi sono fatto e non mi faccio mancare niente.
Iniziavo ad abituarmi a questo odio, fino a che dopo sei lunghi anni – nel 2019 – lo Stato mi mette sotto scorta, cioè lo Stato ritiene che la mia vita sia a rischio. Questo accade dopo una serie di atti intimidatori dove mi hanno fatto il muro e il portone di casa, mi hanno distrutto la macchina, hanno tentato di aggredirmi fisicamente in occasione di incontri pubblici, è accaduto a Padova, è accaduto a Verona, e decine di scritte, di striscioni, di scritte sui muri dove venivo indicato come un nemico da colpire. Cioè, dall’anno 2013 in poi, con una frequenza sempre più a crescere, vengo messo nel mirino come una persona che va colpita. Perché? Perché osa scrivere e documentare che in Italia, cento anni dopo, ci sono ancora gruppi neofascisti e neonazisti. Che è sostanzialmente una difesa della Costituzione repubblicana. Non è che io faccio degli atti eroici, faccio un lavoro normalissimo, ho semplicemente unito dei punti per raccontare, a chi magari non lo aveva notato, che questi gruppi in Italia sono ancora molto attivi e sono spesso impuniti e si sentono oggi molto sdoganati, legittimati e anche in molti casi coperti dall’alto. Poi magari ci torniamo… e chiudo.
Passano sei anni da quando io ho la prima prova plastica del fatto che un gruppo neonazista mi aveva messo nel mirino a quando lo Stato mi mette sotto scorta. Questo perché accade? Non perché lo Stato è distratto. A volte sì, ma non è questo il caso, forse, ma perché? E lì c’erano state interrogazioni parlamentari fatte sulla mia vicenda e sulla mia situazione, dove si diceva che la mia vita evidentemente non era così al sicuro come qualcuno riteneva. E mano a mano gli episodi si ripetevano, gli striscioni in giro, le manifestazioni con decine… in un caso è successo a Verona, centinaia di ultra neofascisti che provano a interrompere e impedire fisicamente la presentazione di un mio libro. E questa cosa mi è accaduta, forse non è un caso, solo a Verona. Verona sulla quale scrivo un libro, il laboratorio dell’estrema destra in Italia e in Europa.
Ecco, lì 200 ultrà neofascisti, Forza Nuova, Casapound, ultrà neonazisti dell’Hellas Verona provano a impedire fisicamente a un autore, a un giornalista, a uno scrittore di presentare un suo libro. E questo accade in democrazia, cioè non accade nell’epoca in cui i loro nonni i libri li bruciavano, ci facevano dei falò. Accade nel 2019, era l’estate del 2019, in una città ricca, fatta di benessere, la città dell’amore di Romeo e Giulietta e io lì ho avuto problemi di ordine pubblico per presentare un mio libro e c’erano 180 tra poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa per la presentazione di un libro, un libro “Nazitalia” nel quale io parlavo della galassia nera in Italia e dedicavo sì qualche riga anche al caso Verona su cui poi farò appunto un libro specifico. E solo per questo ci fu una sorta di sollevazione di mobilitazione neofascista per dire “impediamogli di presentare il libro”. Si presentano fuori da questa sala pubblica in 150 facendo braccio teso scandendo cori contro il sottoscritto. Una risposta straordinaria della Verona democratica e antifascista, progressista, solidale, antirazzista, ma in quel caso ho capito che si era andati oltre, cioè in Italia non finisci sotto scorta solo se ti occupi di mafia, camorra, ‘ndrangheta, ma succede, ahimè, caso unico in Italia e in Europa, anche se ti occupi di neofascisti e di neonazisti.
Alla tua domanda, e poi ti ridò il microfono, è normale che oggi, sotto scorta debba vivere uno che si occupa di neofascismo? Io credo di no, credo di no, è una cosa abbastanza curiosa e credo che costretti a una vita blindata nel 2025 non dovrebbero essere i giornalisti e gli scrittori, ma dovrebbero essere i fascisti che calpestano ogni giorno la Costituzione repubblicana antifascista e antirazzista.
Bene, facendo riferimento al tuo ultimo libro, invece, “Il ritorno della bestia”. Lì hai fatto un’analisi molto dettagliata di un sacco di personaggi della politica più o meno in alto dell’Italia, portando insomma dati per dire no, questa non è gente che insomma è fascista perché è cattiva, secondo me è fascista perché insomma effettivamente lo dichiara spesso in modo aperto e quando lo dichiara comunque usa eufemismi tipo “la fedeltà all’idea”. Insomma tutte tutte queste cose qua. Quindi hai portato varie citazioni di queste dichiarazioni. Ci sono però due citazioni in particolare che secondo me rivelano qualcosa di particolare. La prima risale al 2022 ed è del vicesindaco leghista di Cesenatico Pierluigi Domini che, su un post dei social, sotto la foto di Predappio, scrive: “La fede non morirà mai, viva il Duce!” E poi un’altra citazione invece è di Emanuele Pozzolo, che sempre in un post scrive: “Solo coloro che hanno fede sfidano e rovesciano il destino. Credeteci e lottate. Il mondo lo si perde o lo si prende. Prendetevelo. Nel deserto umano in cui velano tanti montoni, siate leoni, forti come loro, e come loro intrepidi, e che vi aiuti Iddio.”
Ora, da queste due citazioni secondo me emerge in modo problematico il termine “fede” riferito al fascismo. Perché se davvero questa parola non è usata a caso, ma davvero per queste persone il fascismo è una fede infallibile e assolutamente che non può essere messa in questione come è idealmente una fede religiosa, allora si può pensare di far uscire queste persone dal gregge fascista oppure ci si può solo scontrare?
Ma… bella domanda. Proverei a spacchettare la risposta in due in due pezzi, diciamo. Farei una riflessione. Tanto per iniziare, è difficile che qualcuno che aderisce idealmente, fisicamente, strutturalmente a un’idea, la chiamano fede, ma è più frequente la parola, l’uso della parola “idea” con la I maiuscola. Quando voi vedete i fascisti, neofascisti, criptofascisti, postfascisti, chiamiamoli come vogliamo, sul linguaggio possiamo metterci d’accordo, ma insomma è quella roba lì, no? Da Vannacci in su o da Vannacci in giù, ecco, se vogliamo usare la parola criptofascisti o neofascisti, postfascisti, a seconda dei gusti, ma sono molto bravi a usare un linguaggio comunitario, un linguaggio più o meno criptico, che loro usano ad uso e consumo, scusate il gioco di parole, interno alla comunità. Cioè nella comunità neofascista o post-fascista quando leggo o parlo di “Idea” con la I maiuscola quello è sinonimo di fascismo: “fedeli all’Idea”, “non tradiamo l’Idea”, “l’Idea non morirà”, “tutto per l’Idea”, l’Idea è il fascismo.
Esattamente come quando voi leggete o sentite dire, lo hanno fatto anche autorevoli esponenti dell’attuale governo in carica, quando sentite parlare di élite finanziarie, di mondialismo, di maghi della globalizzazione, della finanza, di poteri forti, di banchieri, sono tutti sinonimi di ebrei, cioè sono i Soros del mondo, per capirci. E sono quelli che lo dicono, sono quelli che parlano del fantomatico piano Kalergi, che è questo mito neonazista, neorazzista, secondo il quale in Europa da anni c’è un’élite di ricchi, di miliardari, di finanzieri che sono al lavoro per sostituire i popoli europei con i migranti. Con quale scopo? Quello di specularci e di farci soldi. Del piano Calergi parlò Salvini, del piano Calergi parlarono prime e seconde linee del governo in carica, così come parlarono di sostituzione etnica. Il ministro Lollobrigida fu uno dei primi che, appena insediato, rispolverò il mito neonazista della sostituzione etnica. Non sono io che lo definisco mito neonazista, non è l’ANPI o festival Portami Via. Titolo tra l’altro straordinario per chi l’ha coniato. Io devo dire, non vi non vi nascondo, sono venuto qui con l’idea, la speranza che magari un partigiano possa portarmi via e mettermi mettermi un po’ al sicuro, almeno per qualche mese per respirare un po’ di ossigeno e di aria buona.
Ma al di là di questa digressione, Lollobrigida rispolvera il mito neonazista. A definirlo mito neonazista è Palazzo Chigi. Se voi andate sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri vedrete che sotto la definizione “sostituzione etnica” c’è scritto, c’è tutto uno spiegone con scritto mito neonazista che prevede tutto quello che vi ho detto eccetera eccetera. Ora tu hai un ministro della Repubblica che ha giurato sulla Costituzione repubblicana antifascista e antirazzista. Io credo che molti di loro abbiano spergiurato, non giurato, perché dopo aver giurato su quella Costituzione, un minuto dopo erano già lì che la calpestavano, che ne stracciavano i dettami, le basi e l’architrave che è permeata dall’inizio alla fine dall’antifascismo la nostra Costituzione repubblicana.
Ed è un’anomalia grossa come una casa che noi in Italia oggi nel 2025 abbiamo come seconda carica dello Stato un fascista, tecnicamente fascista. E qui non mi può smentire nessuno, che non vuole definirsi antifascista per un motivo molto semplice: che non lo è, perché è esattamente l’opposto. Abbiamo speso, buttato via del tempo. Qui faccio, occorre essere intellettualmente onesti e dire che quando si sbaglia si sbaglia. Decine di cronisti hanno inseguito per l’Europa La Russa, Meloni, Lollobrigida, Santanchè: “Scusi, ma lei è antifascista?” Ma come fai a chiedere a un fascista di definirsi antifascista? Ma non lo faranno mai, è stata mera utopia che questi, una volta arrivati al governo, si costituzionalizzassero in modo compiuto e facessero finalmente professione di antifascismo, che non dovrebbe essere uno scoop. Gli italiani che si riconoscono nella Costituzione repubblicana sono antifascisti nel momento in cui nascono, non c’è neanche bisogno che lo dicano.
Allora tu hai la seconda carica dello Stato che faceva a gara col fratello per chi era più fascista, lo dice Romano La Russa. Hai la prima carica dello Stato che non si è ancora definita antifascista. Perché? Perché nel libro, lo ricordo, tra le prime parole che Giorgia Meloni pronuncia c’è “noi non tradiremo”. Lo dice a caldo dopo aver vinto le elezioni politiche di settembre 2022, 100 anni dopo. Io non sono uno che crede ai segni delle stelle e alle costellazioni, ma ci sono alcuni incroci, alcune congiunture astrali che fanno quantomeno riflettere. Meloni esordisce dicendo “noi non tradiremo”. Il sottotesto è semplice, è un messaggio comunitario che manda ad una platea di elettori ben definita, alla quale lei dice “noi non faremo come fece il Badoglio Fini”, Gianfranco Fini che tradì, che definì il fascismo il male assoluto, che disse, “noi non tradiremo l’idea, statene certi!”
La seconda cosa che dice è: “Sogno una nazione dove quelli che per anni hanno dovuto abbassare la testa pena magari perdere il posto di lavoro essere esposti a un dileggio possono finalmente rialzare la testa”. A chi si riferiva Meloni? Ai produttori di vino delle Langhe? No! A quelli che fanno il Moscato? No! A quelli che fanno le piadine sulle statali? No! Agli ultrà della Nocerina, neanche. Si riferiva ad un elettorato che, allora come oggi, non solo non disdegna le angolazioni fascistoidi, ma in molti casi non vede l’ora di poterle riabbracciare e portarle in palmo di mano.
Questo lavoro qui, come diceva Luca, Luca 1, lo fanno un giorno sì, l’altro pure, esponenti del primo partito di governo. Io nella mia rubrica “Pietre” do conto, vi assicuro, non passa un giorno e possono passarne due senza che non ci sia un’esponente del partito di Meloni che non faccia esibizione di nostalgismi, ricordando Italo Balbo, ricordando Ettore Muti, ricordando gli eroi e i martiri del fascismo. Allora questa cosa è grave a prescindere, se la fanno persone che siedono in Parlamento, al governo, ai vertici di istituzioni democratiche, io trovo che sia un abominio e un’anomalia italiana, cioè il paese che ha prodotto il fascismo, che lo ha inventato e lo ha esportato con successo all’estero – penso alla Germania nazista, penso alla Spagna di Franco, per dirne due – è un paese che poi il fascismo lo sconfigge. Non parleremo dell’amnistia di Togliatti che, dal mio punto di vista, potete non essere d’accordo, criticatemi, ditemi che sbaglio, non è un problema, non è stata proprio un successone l’amnistia di Togliatti, non è andato proprio tutto come doveva andare, perché se finisci per processare gli antifascisti e il salvacondotto lo crei e lo offri ai fascisti che rimangono nelle istituzioni democratiche, nella macchina dello Stato, rimangono lì in carne ed ossa. Sono loro, si sono tolti la camicia nera, sono rimasti, hanno indossato la giacca della democrazia, ma sono loro. Non è andato tutto benissimo con quella storia lì, la Norimberga italiana che non c’è stata…
Allora oggi hai persone che siedono in ruoli apicali delle istituzioni democratiche che un giorno sì e l’altro pure se ne escono con questi nostalgismi, che celebrano gli eroi martiri del fascismo, che dileggiano le comunità LGBTQ, che se la prendono con i più deboli, con gli immigrati, che se la prendono con gli invasori inventandosi invasioni che non ci sono. Hai una retorica dell’odio, una narrazione dell’odio che è tornata ad essere cifra del dibattito pubblico in Parlamento, nei bar. So che anche in questa città alla vigilia delle elezioni il dibattito pubblico non volava sempre altissimo, no? In alcuni bar di questa di questa città, ma come in tutti i paesi e le città italiane, siamo tornati ad essere vittime di pulsioni fascistoidi, razziste, xenofobe, intolleranti che credevamo sepolte dalla storia. Dice “quella roba là non torna più” e qui, permettimi aggiungo una cosa al volo, giusto per chiarezza, perché mi dicono appunto “tu vedi i fascisti ovunque, la Meloni non è fascista”… Allora qui nessuno parla… questo è il primo lavoro di tutti i miei libri sul neofascismo, dove non parlo di Forza Nuova, non parlo di Casapound, non parlo della comunità militante dei 12 Raggi, sono quei simpatici democratici di Varese, non parlo di Lealtazione, non parlo del Veneto Fronte Skinhead, non parlo degli ultrà, parlo del primo partito di governo del Paese.
Per raccontare che cosa? Che non è che con Fratelli d’Italia torna il fascismo storico. Attenzione, cioè nessuno qui vi parla del fascismo, del fez, della camicia nera, dell’olio di ricino, del manganello. Non ti vengono a prendere sotto casa. Oddio, qualcuno ogni tanto ci prova. Mi dicevano “dove vedi questi fascisti?” Tanto me li inventavo i fascisti che appunto vent’anni dopo sono costretto a vivere sotto scorta e i fascisti che mi dicevano che erano quattro gatti di fatto oggi i continuatori culturali e ideali di quella storia sono al governo del paese. Tanto me li inventavo, tanto me li inventavo.
Allora non parlo di quel fascismo che mi auguro, penso, credo non si ripeterà, non in quelle forme. Ci sono, devo dire, dei giorni in cui le mie certezze un po’ vacillano, ma è un problema mio. Sono ossessionato, quindi prendetela come un’ossessione personale. Parlo di un altro tipo di fascismo, parlo di un fascismo slavato, un fascismo che io ho definito pop, un fascismo alla Vannacci per capirci, che si confonde si intreccia con un senso comune. Questo è il vero problema: un senso comune italiano che è eternamente fascista, cioè l’italiano, l’Italia, gli italiani il fascismo in qualche modo lo hanno trattenuto nella loro pancia, non se n’è mai andato veramente e come dice bene Liliana Segre, con la quale possiamo simpatizzare o meno essere d’accordo su qualcosa su qualcos’altro o meno, Liliana Segre dice una cosa molto dritta e molto condivisibile. Una, diciamo, che ha studiato il tema e che l’ha studiato sulla propria pelle quando era bambina, deportata ad Auschwitz, messa sui treni della vergogna. Liliana Segre dice: “I fascisti in questo paese ci sono sempre stati, non se ne sono mai andati via”.
Sostanzialmente erano lì, erano lì, in un angolino manco troppo scomodo, a volte protetti dalle istituzioni, servizi segreti, la loggia massonica P2, cioè quelli che hanno ordinato la strage neofascista di Bologna, per capirci. No, l’altra sera a Bologna, scusa la parentesi, apro e chiudo, a fare le ronde nella stazione bagnata dal sangue c’erano i patrioti neofascisti insieme ad altri gruppi che, scortati dalle forze dell’ordine, vanno a impaurire i pusher della stazione di Bologna o di Piazza dei Martiri. Questo accade nella città teatro della più sanguinaria strage neofascista della storia contemporanea, i neofascisti che fanno ronde lì e nessuno si indigna, nessuno dice nulla ed è normale che questo accada.
Allora i fascisti stavano lì e aspettavano che cosa aspettavano? Solo il momento giusto per tornare a dire “ci siamo anche noi”. Allora questo governo, e spero di aver, diciamo, soddisfatto in modo largo la tua domanda, con questo governo che cosa torna? Tornano quelle pulsioni fascistoidi e torna un fascismo slavato che si confonde con un senso comune italiano eternamente fascista, cioè l’idea che ci sia qualcuno che ha meno diritti di noi, l’idea che se tu manifesti, se tu protesti, se tu scendi in piazza devi essere colpito, punito, represso, compresso, ultimo decreto sicurezza. L’idea che uno Stato di polizia tutto sommato in qualche momento storico male non fa, perché qualcuno che deve fare un po’ di ordine a casa non mi sta male. Sacrifico un po’ delle mie libertà, sì, ma tu mi metti ordine in casa, mi fai fuori i gay le lesbiche, metti da parte gli immigrati, non li fai salire dal Belbo con i barconi. Tu figurati.
Allora questo sentimento è riemerso ed è tornato. E quando è storia di settimana scorsa, qualcuno si è indignato perché uno storico, Carlo Greppi, in un libro ha scritto che Fratelli d’Italia è di fatto il continuatore culturale ideale della storia del fascismo. Ma io mi meraviglio non solo delle polemiche, ma anche del fatto che qualcuno si sia stupito, cioè la trovo una cosa persino banale da dire. Sono a tutti gli effetti i continuatori culturali di quella storia, lo sono nel simbolo che hanno il partito della fiamma, la fiamma che arde sulla tomba di Benito Mussolini, la fiamma di Salò, la fiamma che caratterizza da allora i più importanti partiti neofascisti italiani ed europei. Non se la sono tolta la fiamma e perché non la tolgono? Prova a indovinare, forse perché perderebbero qualche voto, forse perché quel pezzo di pancia dell’elettorato che gradisce la fiamma e non rifiuta le angolazioni fascistoidi, forse il voto magari non te lo dà più, ma è un’idea mia, magari mi sbaglio.
Allora perché le polemiche su uno storico che, dati alla mano, ti dice che questi sono i continuatori di quella storia? Allora hai gli eredi di un partito, il Movimento Sociale Italiano, fondato dai reduci del Partito Nazionale Fascista e della Repubblica Sociale Italiana, ok? Questo è il rapporto che sta tra Fratelli d’Italia e il Movimento Sociale Italiano, gli eredi di quel partito, dell’MSI, sono al governo. Questo apre scenari dal mio punto di vista inimmaginabili fino a qualche anno fa. Io non credevo che in Italia, 100 anni dopo, potessero tornare gli eredi culturali di quella storia là che nel nostro paese e la lotta di resistenza, la lotta partigiana, i 300 di questa di questa città hanno sconfitto. Non credevo potesse tornare e questo crea un caso unico, siamo l’unica democrazia europea dove gli eredi del fascismo sono al governo della nazione. Non accade in nessun altro stato d’Europa. Facciamoci due domande e diamoci due risposte.
Non sono riuscito a metterti un freno perché sei un treno pazzesco. Per tirare quindi le somme, la sostanza è che tutti questi esempi che ci hai portato ci dicono che, insomma, questo fascismo, per quanto slavato, usa le dinamiche democratiche solo a suo vantaggio e quindi sostanzialmente non è possibile un discorso intellettuale per scoraggiare uno che crede nell’idea dal continuare a perpetrarla e quindi? Sostanzialmente lo scontro può essere solo frontale, se vogliamo tenere qualcosa. Poi mi danno del brigatista o del terrorista, cosa che già qualcuno ogni tanto fa.
In Italia capita che se ti occupi di neofascismo, se fai inchieste sul neofascismo, vieni visto come un estremista radicale. Io mi chiedo, dovrebbe essere un dovere di ogni buon cittadino italiano fare dell’antifascismo a prescindere dal, diciamo, dal mestiere che si fa, dai mezzi a propria disposizione. Dovrebbe essere una cosa persino scontata farlo, però se ti occupi di neofascismo in Italia, o finisci sotto scorta o ti danno dell’estremista, del pericoloso sovversivo.
Il terreno dell’intelletto, dell’attività intellettuale è un terreno scivoloso, è un terreno dove i fascisti, neofascisti, post-fascisti non si muovono con grande disinvoltura. Lo abbiamo visto, ci sono stati mille casi da San Giuliano in poi, spesso collezionano delle figure non brillanti. Tuttavia la battaglia per l’egemonia culturale che credo non si possa diciamo non sfiorare, almeno in un rapido cenno, che è la nuova offensiva della destra di governo, della destra erede di quella storia, dei continuatori ideali di quella storia, cioè la storia della fiamma. La battaglia per l’egemonia culturale dice: “La cultura non è solo di sinistra. Adesso riscriviamo la cultura e proviamo in questo, in questa operazione, a riscrivere anche la storia”. Bene. Due cose, signori: la storia non si riscrive. La storia ha scritto il suo verdetto il 25 aprile del 1945 e quel verdetto non lo cancelli. La storia la puoi, puoi provare a ometterla, a manometterla a forza di menzogne, di fake news, di balle, di riscritture. Abbiamo esempi autorevoli dal La Russa di via Rasella: “hanno sparato ad una banda di musicisti in pensione”. Abbiamo esempi di revisionismo che gridano allo scandalo, portati avanti da persone che stanno in ruoli apicali delle istituzioni democratiche e statali.
In questa cornice di revisionismo qual è lo scopo? È molto semplice, è quello appunto di provare a riscrivere la storia. Per far che cosa? Per prendersi una rivincita sulla storia, cioè alla sconfitta del 25 Aprile 45. Non si sono mai rassegnati ed è da allora ad oggi che coltivano una sete di rivalsa, di vendetta. E tu com’è che ti puoi vendicare di una sconfitta? O ricominciando la battaglia sul campo? Ma è per fortuna impensabile in tempi di democrazia, non di guerra civile, di democrazia, anche se colgo ogni tanto dei segnali in giro che un po’ preoccupano: il ritorno di certi slogan, l’odio e la violenza che esce dai social e va nelle piazze e viceversa, la propaganda e l’attivismo, l’iperattivismo di gruppi neofascisti che, complice il clima politico attuale, si sentono al calduccio, coperti, riparati sotto l’ombrello, di una destra che si professa europeista, moderata, liberale, costituzionale, ovviamente filoatlantista. Evito di addentrarmi nei terreni minati delle due guerre in corso, ma che fondamentalmente mantiene intatta la sua radice ideologica e la sua matrice che la collega al fascismo storico, ma soprattutto al neofascismo degli anni 70, che è la palestra dove si sono formate le prime, le seconde e le terze file del governo italiano di oggi, mi riferisco a Fratelli d’Italia, da quella palestra vengono e quella palestra ogni volta tendono a riproporre, lo fanno loro o lo fanno i giovani? Perché i giovani fanno il saluto romano, quelli di Gioventù Nazionale, l’avete visto nell’inchiesta di Fanpage, lo abbiamo raccontato in decine di inchieste da anni, perché i giovani fanno quello che fanno gli adulti, ripropongono e riproducono i modelli che che portano avanti gli adulti. Se il saluto romano lo fa La Russa, che è la seconda carica dello Stato, ma perché io, ultrà dell’Inter, della Lazio, del Verona o giovane militante di gioventù nazionale o di azione studentesca, non dovrei farlo? Lo faccio anch’io, tranquillamente.
Allora il tema vero è la rivincita sulla storia. Sono stati sconfitti una volta, non si sono mai rassegnati a quella sconfitta, hanno digerito obtorto collo, come se fosse un amaro che brucia la Costituzione repubblicana antifascista, che rovescia in modo strutturale i dettami del fascismo, oggi provano a prendersi una rivincita: l’attacco alla Costituzione, la riforma del premierato forte, le politiche sociali, migratorie, che colpiscono i diritti e che colpiscono i più deboli, quei deboli a cui nel 22 avevano promesso “stiamo dalla vostra parte, votateci”, in realtà i fascisti sono sempre stati dalla parte del potere dei padroni. Dei latifondisti, non dei contadini, dei bianchi, non dei neri, degli uomini, non delle donne, degli uomini eterosessuali, non degli eterosessuali, degli uomini che hanno vigore fisico e non degli handicappati. Handicappati che non a caso Vannacci dice: “dobbiamo metterli in classi separate”. Tutto torna. Attenzione, non sempre la storia non si ripete se non in forma di farsa. A volte la storia sa anche ripetersi con le stesse forme o con forme ancora più subdole. Ecco perché occorre vigilare, ecco perché occorre raccontare il presente non solo il passato quella miseria addirittura.
Allora cerchiamo di quasi chiudere, non abbiamo più moltissimo tempo. Volevo prima fare una mia considerazione cogliendo quello che dicevi che qua nel libro ci sono riportati molti post o dichiarazioni misogine, razziste, omofobe, tatuaggi del Duce e molto altro. Poi io penso, il libro è uscito un anno fa, un anno e qualche mese fa e in un anno e mezzo sono successe tantissime altre cose, probabilmente anche delle cose molto più gravi, cioè i saluti romani non li fanno più solo a Predappio i neofascisti, ma l’ha fatto per ben due volte l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, oppure Giorgia Meloni non ha più a che fare solo con le condanne dei suoi, ha avuto a che fare con un torturatore uno stupratore uno che ha crimini contro l’umanità e l’ha riportato a casa con un volo di Stato. Quindi io penso che tutto quello che è riportato nel libro non è scollegato a questi fatti, probabilmente c’è una tolleranza a queste cose qua cioè spesso si dice “ma son pochi i fascisti, non dargli importanza quello dice viva il Duce”. Ma cosa conta? È proprio da lì che secondo me si passa a tollerare sempre di più, sempre di più, fino ad ad arrivare a fatti gravissimi. Due settimane fa Giorgia Meloni dice: “Se vuoi la pace prepara la guerra”.
Dobbiamo chiudere. Quindi passo un’ultima domanda che ci tenevo molto a farti perché diciamo che è personale non da parte mia ma da parte del Portami Via Festival. Portami Via Festival è un festival che come tanti sanno unisce due commemorazioni e cerca di ampliarle, quella dei Caffi di Cassinasco e dei Martiri del Falchetto dove ogni anno ricordiamo e teniamo accesa la memoria di 300 partigiani. Però nel mondo che ci ritroviamo, questo mondo di guerra, questo mondo dove non possiamo manifestare, non è che non basta più solo tenere attiva questa memoria? Non è che il ricordo non basta più per contrastare quello che tu definisci il fascismo POP, il fascismo del terzo millennio? Non è che dovremmo noi in qualche modo attivare una resistenza del terzo millennio? E se sì, cosa può voler dire per un’associazione, per un singolo cittadino, per una persona, per dei ragazzi giovani?
Ti rispondo con le parole, comunque con il concetto che Sandro Pertini, il presidente partigiano Sandro Pertini declinò quando gli chiesero come si dovrebbe festeggiare in modo compiuto il 25 aprile, cioè come si onora la ricorrenza dell’antifascismo e della liberazione dell’Italia dal regime fascista e dall’oppressione e dall’occupazione nazista. Sandro Pertini rispose in un modo molto secco e tranciante e disse: “Non deponendo corone di fiori”. Pertini, Sandro Pertini, il presidente partigiano, lo sottolineo, quindi non esattamente uno lontano dal tema, disse: «Non è deponendo corone di fiori che si festeggia il 25 aprile e che si onora la memoria della lotta partigiana». Il 25 aprile della lotta partigiana si onora occupandosi del presente, occupandosi di quello che ci accade intorno, portando avanti la memoria dei 300 di Canelli o dei 100 di Sabbiuno, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e l’elenco è lunghissimo, non solo celebrando in modo liturgico, da calendario, la ricorrenza, perché, vedi, io so che molti magari non saranno d’accordo, ma non ho mai creduto all’antifascismo né occasionale né da calendario.
Cioè OK le ricorrenze, OK i cippi, OK le lapidi, ma non bastano, non possono bastare. Abbiamo capito che non bastano. Abbiamo capito che non bastano perché prestano il fianco a chi dice che l’antifascismo è un tema, una battaglia residuale che non ha più motivo di esistere perché non esiste più il fascismo, ti dicono. Furbi loro, no? L’ultima moda. Il talento vero dei fascisti è quello di dire: “I fascisti non ci sono più! Ma dove sono? Ma dov’è il fascismo? Te li inventi giustappunto! Dove li vedi?” Salvo poi un giorno sì e l’altro pure li vedi lì, li leggi sui post su Facebook, su Instagram, celebrare i martiri del fascismo e poi li vedi fare i saluti ai romani non soltanto a Predapio, ma ormai in modo impunito, complice anche, devo dire, una sentenza della Cassazione che ha stabilito che il saluto romano, se fatto con finalità commemorative, vale, non è reato e quindi funziona, lo si può fare.
Si sono moltiplicate in modo esponenziale le occasioni pubbliche in Italia, durante le quali gruppi neofascisti e neonazisti fanno il saluto romano con il pretesto strumentale di ricordare un morto e trasformare quell’occasione in una parata nera dove si fa propaganda e apologia di fascismo. Accade ogni 29 aprile a Milano per Sergio Ramelli, un ragazzo ucciso nel 1973 da militanti di estrema sinistra a colpi di chiave inglese. Certamente una morte da ricordare, ma ricordare un morto non significa fare un corteo di due o tremila persone che sfilano concludendo quella parata con un saluto romano collettivo, il saluto romano impropriamente detto romano, perché quello si chiama saluto nazifascista. È stato sdoganato da questa sentenza della Cassazione. In Italia dall’anno scorso ad oggi ci sono stati e ci sono ogni giorno casi, piccoli paesi, medie città, grandi città, da Acca alla Renzia in giù, dove il saluto romano è diventata prassi, è diventata normalità, l’abitudine all’osceno, l’abitudine alla normalità che normale non può essere.
Allora, in questa cornice, io credo che non basti portare una corona di fiori. È capitato anche a me il 25 aprile scorso ero a Reggio Emilia, ne parlavamo con Massimo prima e ho avuto l’onore e il privilegio di essere invitato dal sindaco di Reggio Emilia a tenere l’orazione ufficiale in piazza per le celebrazioni del 25 aprile e subito dopo essere invitato sul palco di Casa Cervi davanti a una folla che quest’anno era veramente straripante e devo dire mi sono emozionato in quell’occasione, ma non basta, non basta perché la memoria non va soltanto spolverata come si fa su una mensola, la memoria va agita, la memoria va agita raccontandoci le cose come stanno, se vuoi cambiare le cose devi iniziare a studiarle e a raccontarle altrimenti non cambierai mai niente. Primo punto, il secondo: le leggi.
Noi abbiamo un enorme problema non solo di tolleranza, come dicevi tu, siamo un paese dove c’è un’eccessiva tolleranza per i rigurgiti, le recrudescenze, le manifestazioni neofasciste e neonaziste. In nessun altro paese europeo, dove pure in Germania hanno avuto il nazismo, in Spagna hanno avuto il franchismo, la tolleranza che c’è in Italia rispetto a questi fenomeni è una tolleranza che non conosce eguali in altri stati europei. In Germania c’è Alternative Fur Deutschland? Vero, sì, secondo partito di Germania, vero, tutto vero. Ma è anche vero che il Ministero dell’Interno in Germania ha messo sotto sorveglianza e ha sostanzialmente inibito un’ala di Alternative Fur Deutschland ritenendola pericolosa per la democrazia. In Italia Forza Nuova e Casapound sono ancora in giro al pascolo a fare propaganda neofascista e saluti ai romani. Questo vuol dire che noi abbiamo un problema di tolleranza, un eccesso di tolleranza e soprattutto una mancata applicazione delle leggi.
In Italia abbiamo almeno due leggi, la Scelba e la Mancino, che mettono al bando il neofascismo e le manifestazioni dove si fa apologia di neofascismo e neonazismo. Sono due tra le leggi più disapplicate del nostro ordinamento. C’è una riflessione da fare. È un paese dove molte cose vanno sistemate e soprattutto non lo si può fare deponendo corone di fiori. Vanno bene ma non bastano. Questa è la mia idea di antifascismo: lottare, battersi, lottare, battersi. Ognuno nel suo. Grazie.
Perdona l’interruzione che ho tentato di fare, ma il tempo è tiranno. Se possiamo chiudere con una didascalia: con la riflessione che hai appena fatto sarebbe stata un’altra domanda, ma appunto, il tempo è tiranno. Cioè, quindi tu confermi che persone che dicono “ma sì, ma c’è già la Costituzione, c’è, ci sono già le istituzioni, la Corte costituzionale che ci proteggono dalle derive che potrebbero essere, che potrebbero riportarci a un nuovo ventennio?” E tu sostanzialmente ci dici no, non basta quello, anche perché le istituzioni sono fatte di persone, quindi siamo noi persone che dobbiamo attivarci. Possiamo didascalicamente chiudere così?
Io penso di sì, ma non lo dico, lo dicono i fatti che noi vediamo ogni giorno, cioè l’interpretazione che i protagonisti della politica oggi danno, quelli che stanno al governo, anche della Costituzione, che non a caso stanno cercando di picconare colpendola in modo frontale, che era il sogno di Giorgio Almirante, cioè quello che diceva “noi siamo fascisti in democrazia”, cioè usiamo la democrazia come un cavallo di Troia perché noi siamo e continueremo ad essere fascisti, non più sotto il fascismo ma in democrazia. Questo era il mantra di Giorgio Almirante ed è quello che in qualche modo stanno continuando a fare, usare le istituzioni democratiche e la democrazia come un cavallo di Troia. Per fare che cosa? Per piegare, per curvare la democrazia con una torsione autoritaria, personalistica, padronale, che è quello che emerge da tutte le riforme che stanno facendo e da quello che stanno cercando di portare avanti. La direzione l’hanno indicata loro, cioè non è che l’ha indicata l’ANPI o il Festival partigiano Portami via. Con quello che fanno ogni giorno ti fan capire quali sono le loro intenzioni. Quello che stanno facendo è esattamente quello che avrebbero promesso di fare, né più né meno. Chi si stupisce. Io mi stupisco di chi si stupisce, dice “ma dai, ma Musk fa il saluto Romano”. Ma strano, lo facevo un sincero democratico. Trump vuole mettere i detenuti nelle prigioni dove i coccodrilli li azzannano se si spostano dal letto, dalla brandina di ferro? Ma strano, pensavo che Trump fosse un sincero interprete dei dettami della democrazia più grande del mondo.
No, stanno facendo quello che avevano promesso. Quindi questo è un imperativo categorico che si pone perché vedi cosa stanno facendo loro. E io credo che l’impianto costituzionale che sì, fino ad oggi ci ha protetto, abbiamo pensato che la democrazia fosse un bene salvo per sempre e invece è una pianta che va innaffiata ogni giorno e in questo momento c’è bisogno secondo me di concime antifascista. Non ci resta che piangere soprattutto.
Luca Paolo e Luca si congedano con una citazione di Troisi, sembra lo scoop della serata è questo, l’egemonia culturale di Canelli. Noi promettiamo a Paolo Berizzi che invece non piangeremo, continueremo nella nostra strada con il nostro festival e ogni anno ci impegnamo anche ad andare nelle scuole a cercare di raccontare ai ragazzi che ormai sono molto più giovani di noi tutto questo. Grazie mille Paolo Berizzi. Grazie a voi. Ancora un applauso e grazie a Massimo Zamboni per aver ideato questo incontro. Massimo Zamboni che tra poco salirà sul palco.